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martedì 29 marzo 2011

Chiavi: Ascolto Medio: 15. Due scrittori confessano


15. Due scrittori confessano
Voci tre: Dino Buzzati (B.), giornalista, Goffredo Parise (P.)
B. Il fatto è che io di indole proprio sono quasi visceralmente pessimista. E pensare
che né che questo pessimismo mi sia nato da tristi esperienze. Devo ammettere che
complessivamente nella famiglia, negli studi, nel lavoro, nella salute, io com ples -
sivamente sono stato un uomo fortunato, non posso lamentarmi. Eppure io ho avuto
sempre questa sensazione, come se dovesse succedere qualcosa di triste e di brutto.
Soprattutto io sono in un posto tranquillo e silenzioso come in campagna e ho
come la sensazione che da un momento all’altro debba capitare qualcosa di catastrofico;
non so, come un bolide, un meteorite che piombi sulla terra e la sfasci, una
roba di questo genere qui. Questo l’ho avuto sempre. E questo nei racconti probabilmente
si simbolizza, si può dire così, si estrinseca in questa minaccia diffusa nell’aria
che circonda molti dei miei personaggi. Penso che sia così. Tutto a parte, uno
scrittore è difficile che possa essere un buon interprete delle cose che ha scritto e
dei personaggi che ha messo al mondo.
Ora il grande romanziere e narratore Goffredo Parise, seduto in Piazza San Marco a Ve -
n e zia ci farà scoprire come la Piazza sia un’opera vivente, un palcoscenico in cui si rap -
presentano scenari magici, costruiti dalla gente che l’attraversa da innumerevoli anni.
P. Questa è la Piazza San Marco; è la prima Piazza San Marco che ho visto nella mia
vita, quando avevo 3 anni, 4 anni. E poi a 5 anni, l’ho vista com’è ora ed è rima sta
la più grande emozione estetica della mia vita. Ho scelto la Piazza San Marco non
tanto perché sia un’opera d’arte, nel senso che s’intende convenzionalmente, cioè
l’opera di un individuo, di un architetto, di un artista. Ma perché è una grandissima
opera d’arte della vita, cioè è la sua vitalità, il suo movimento, la sua di namica
che la rende, che dà delle grandi emozioni, insomma; non si..., non è soltanto la
chie sa o la piazza, o il senso delle proporzioni; è proprio tutto quello che ci gi ra in -
torno: dai piccioni alle pasticcerie, dal Florian alle orchestre di caffè. Non si può
pen sare una Piazza San Marco astratta, museificata. Si deve pensare proprio una...
come un’opera d’arte viva, in progress, come si direbbe. In fondo, il mio primo
romanzo, quello che ho scritto a 18 anni, “Ragazzo morto e le come te”, praticamente
si può dire che l’ho scritto in Piazza San Marco, in quanto abitavo qui vicino,
avevo una stan za qui vicino. E anche il secondo romanzo, “La gran de vacanza”.
In sostanza io ho scritto due libri, devo due libri a Venezia, ma in particolare,
a Piazza San Marco.


CHIAVI
1. 1c, 2b, 3a, 4c
2. 1. un uomo fortunato, 2. qualcosa di catastrofico, 3. messo al mondo,
4. grande emozione estetica, 5. la sua dinamica, 6. Piazza San Marco

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